"Sto diventando un po' troppo critico per potermi illudere ulteriormente di avere qualche talento" - F. Nietzsche


"Musica est exercitium aritmaeticae occultum nescientis se numerari animi“

- G.W. Leibniz


"I pecoroni non vogliono diventare padroni del loro lavoro!" - C.T.


"Tutta la musica è contemporanea."

mercoledì 27 dicembre 2017

Quando uno non crede alle proprie orecchie e rimane letteralmente senza parole



Quando uno non crede alle proprie orecchie e rimane letteralmente senza parole, ovvero: 
nuovi orizzonti dell'interpretazione musicale.

Accendo la radio su Rai Classica, e capito nel mezzo di quello che sembra essere un pezzo di musica contemporanea (a me sconosciuto) per violino : armonici, glissati in su e in giù, strappate brutali, passaggi velocissimi, pizzicati "bartòk" a mitraglia, grumi di note irriconoscibili se non come "figura" o "evento stocastico", tremoli al ponticello, silenzi improvvisi e sintomatici...insomma tutto il consueto armamentario retorico della musica d'avanguardia.
Ma in questo caso c'è qualcos'altro che aleggia nell'aria: come una ironia, una volontà caricaturale, come se il compositore volesse prendere in giro lo stile delle avanguardie esagerandone parodisticamente il repertorio "effettistico".
Io sospetto che sia così anche perché tra un glissato e l'altro, tra un effetto e l'altro, spuntano dei frammenti quasi-tonali che mi ricordano qualcosa, che sembrano delle citazioni dal repertorio classico del violino, che io però non riconosco. Allora mi dico: beh, questo compositore sicuramente ha una poetica postmoderna, non cerca il rigore interno del linguaggio ma utilizza elementi appartenenti a epoche e linguaggi diversi per farne un montaggio a suo gusto. Un momento sembra Sciarrino, un attimo dopo sembra Stravinskij, e altro ancora. Chi sarà mai costui?
Mentre mi passano per la mente queste domande, mi accorgo che in realtà il brano non è per violino solo, bensì per violino e ensemble folcloristico, perché nel frattempo è iniziata una danza indiavolata a suon di tamburelli, archi battuti col legno, e così via: ma deve essere una danza (che intuisco di origine balcanica) veramente "etnica", perché il violino solista si produce in acrobazie inaudite, fra trilli e sovracuti e glissati e jetèes, ma con un suono degno del più rustico e folkeggiante violino rauco e scordato di tutti i balcani, insomma una vecchia cassetta di legno trovata in cantina, cui siano state montate delle corde precarie, spaiate, suonata da un violinista fuori di sè e totalmente in preda all'alcol!
Inoltre anche qui la musica sembra seguire una certa embrionale, quasi irriconoscibile tonalità, con un paio di accordi (credo, mi pare di capire, nella confusione generale) che si alternano, I-IV, tipico procedimento armonico del bordone folk. E anche qui mi pare di riconoscere qualche citazione del repertorio violinistico, ma non saprei dire quale...
Perciò penso, forse ho sbagliato: questa non è musica contemporanea di un ignoto compositore post-moderno, interamente scritta; questo è invece un ensemble folcloristico, certamente registrato sul campo, "live" da un etnomusicologo durante qualche festa di paese. Ho un trasalimento: che sia una delle leggendarie registrazioni di Kodàly o di Bartòk, quando giravano per l'Ungheria alla ricerca delle radici popolari della musica? No, impossibile: la presa sonora è troppo buona, troppo fedele. Ai tempi di Bartòk sarebbe stato impossibile registrare con questa qualità di suono.
Intanto la danza si è fermata improvvisamente e ricomincia il violino solo con una sua specie di cadenza, tipo i trilli degli augellini all'inizio de "La Primavera" di Vivaldi, mischiati ad altre cose più o meno virtuosistiche e chiaramente improvvisate, un po' nello stile jazz-rock del buon vecchio Jean-Luc Ponty.
Ho una illuminazione: questa non è musica contemporanea, e nemmeno folk! Questo è un gruppo jazz-ethno, è tutta roba improvvisata! Sarà una session registrata dal vivo a qualche jazz festival! Chissà chi è questo violinista?
Non faccio a tempo a mettere a fuoco nella memoria un nome, che inizia un'altra sezione musicale del pezzo, e questa volta sembra una rivisitazione contemporanea - un po' à-la-Schnittke- di una danza barocca, settecentesca. Come se un minuetto fosse filtrato da lenti espressioniste, e gli interpreti avessero assunto delle droghe allucinogene tipo l'LSD.
Insomma per farla breve, altri momenti musicali i più disparati si susseguono, e io non ci capisco più niente, rinuncio a capire cosa sia ciò che sto ascoltando, e ormai aspetto che finisca il pezzo -accolto da scroscianti applausi, un trionfo, a quanto capisco - solo per la curiosità di sapere chi sia questo autore a me completamente ignoto.
Ed ecco infine l'annuncio :
"Avete ascoltato, dall'auditorium di Lucerna, la registrazione live del CONCERTO IN RE MAGGIORE PER VIOLINO E ORCHESTRA DI W.A.MOZART. 
Violinista PATRICIA KOPATCHINSKAJA,
direttore TEODOR CURRENTZIS,
orchestra MUSICA AETERNA."
Di colpo mi sono sentito vecchio, decrepito, finito

venerdì 6 ottobre 2017

"DEMOCRATIZZARE" LA CULTURA ?


DEMOCRATIZZARE LA CULTURA? 
riflessioni sparse e incoerenti sulla distribuzione e l'organizzazione dei fatti culturali.

Il concetto di "democratizzazione della cultura", che sembra essere di per sé una cosa giusta, scontata, al di sopra di ogni possibile obiezione, é in realtà spesso applicato in modi ideologici e strumentali.

Bisognerebbe chiedersi daccapo, oggi, cosa significhi esattamente.
Perché la "cultura" dovrebbe essere "democratica"?
Se non lo é, non é cultura?
I fenomeni del pensiero e dell'arte che non siano immediatamente accessibili a tutti, sono da considerarsi antidemocratici?

Qualcuno sostiene che mancano i "mediatori culturali" giusti per portare la "vera cultura" alle masse popolari. Per dar loro gli strumenti giusti per una piena comprensione del fatto artistico e culturale.
Non saprei. Mi pare che oggi ci siano molto più "mediatori culturali" che operatori/creatori culturali veri e propri.

È una vera e propria peste del voler a tutti i costi spiegare, facilitare, rendere semplice e comprensibile ciò che - secondo i mediatori culturali stessi- è complesso. A un importante festival musicale dell'anno scorso, in alcuni concerti sinfonici furono montati sul palco dei grandi schermi nei quali apparivano in diretta durante l'esecuzione le "spiegazioni" di ciò che stava succedendo. "Ora entrano i violini I, ora c'é il dialogo tra i legni e gli ottoni, ora i timpani danno il tempo" e così via. 
Penoso tentativo di descrivere banalmente, pedissequamente, la musica con le parole. Fortunatamente non é stato più replicato.

E poi conferenze, fervorini introduttivi ai concerti, e qualche volta anche "segue dibbbbbattito": tremendo. Tutto un contorno di parole, parole, parole che alla fin fine rafforzano l'idea che la musica sia una cosa difficile da capire, che bisogna studiare, essere preparati: sennò si fa la figura degli ignoranti, se ci si limita a essere affascinati da una melodia, o ci si accontenta di fantasticare semplicemente cullati dalla musica. 

Mi pare che l'eccessivo contorno dei "mediatori culturali" stia in realtà intellettualizzando la cultura, sovrapponendosi, sovrabbondante, al fatto stesso.
Se io vado a vedere Piero della Francesca mi aspetto di poter sopratutto ammirare il quadro nella tranquillità e nel silenzio; al massimo desidero ricevere qualche informazione molto succinta sull'opera. Poi sarò io, se ne sento il bisogno, a casa, a cercare ulteriori informazioni, ad approfondire, a comprare libri, a leggere e costruirmi un mio percorso personale.

Quindi é sufficiente moltiplicare ad infinitum l'offerta culturale, aumentare il pubblico, rivolgersi a tutti senza pretendere di veicolare "contenuti", educare, elevare, edificare le masse?
Sappiamo benissimo che oggi i grandi festival investono in pubblicità e promozione gran parte del loro budget, proprio a questo scopo: democratizzare la cultura rivolgendosi al pubblico più ampio e variegato possibile. 
E infatti non manca affatto il pubblico, anzi. Spesso mandano via la gente in coda fuori dai teatri perché non c'é più posto, nemmeno in piedi. 
Dunque dove sta il problema? Non certo nella domanda. Il pubblico c'è, e in abbondanza. 
Magari manca un po' la qualità? Non saprei. 
Io sono uno che si accontenta. Se capita, vado volenteri ad ascoltare degli sconosciuti che suonano in modo decoroso ma non certo al livello degli astri internazionali. E godo ugualmente ad ascoltare, anche se in certi momenti magari soffro un po' per alcuni aspetti della performance che trovo insoddifacenti. Perché quello che mi interessa é la musica, non gli interpreti. In genere anche a quei concerti - specialmente se gratuiti- é pienissimo di pubblico, e la gente super contenta. 
Dunque? Non è che ci facciamo dei problemi inesistenti?

Il discorso di come organizzare stagioni concertistiche in una grande città è assai complesso.
È verissimo che il "brand" del grande festival funziona già da solo come attrattore, al di là della qualità della programmazione. Ma in generale trovo che ci sia un buon equilibrio. Poi molto fanno anche le "locations": ad esempio, una celebre e pionieristica rassegna di musica antica di Milano, Musica e Poesia a San Maurizio, aveva il suo perché anche per il fatto di svolgersi a San Maurizio, luogo magico che conferisce immediato fascino a qualunque cosa. 
Conosco molto bene queste dinamiche del brand: qualche anno fa mi trovai in coda per entrare a un concerto di London Sinfonietta, intorno a me c'era gente di tutte le età e la maggioranza di costoro NON SAPEVA cosa stava andando ad ascoltare. Si fidavano del grande festival che organizza in 10 giorni o giù di lì parecchie decine di concerti di tutti i generi musicali. 

È un bene? È un male? Si saranno pentiti, una volta resisi conto di aver scelto un programma di musica contemporanea di autori inglesi? Oppure avranno scoperto che non era niente male? 

Chi lo sa? Sono semi buttati nel terreno, magari qualcosa cresce, magari no. 

In definitiva non ho le idee chiare: ma in generale, questo zelo dello Stato Culturale (che é anche il titolo di un bel libro del saggista francese Marc Fumaroli) nel voler a tutti i costi democratizzare, spiegare, educare alla cultura, mi insospettisce sempre un po'. 

Ci vedo un fondo ideologico, un'idea paternalistica del compito delle élites.

mercoledì 13 settembre 2017

"Pina, io ti stimo moltissimo"



Il Domenicale del 3 Settembre 2017 del Sole24 ore si apre con una lettera inedita che Luciano Berio scrisse nel 1977 - 40 anni fa- al musicologo Massimo Mila.
Come sempre il pensiero di Berio spicca per lucidità e per intelligenza. Qualunque cosa si possa pensare della sua musica, mi pare innegabile che fosse un Maestro, che aveva capito molte cose prima e meglio di altri.
A che punto siamo 40 anni dopo?
Oggi il panorama musicale contemporaneo appare molto più differenziato, ma anche più confuso. Si sono persi punti di riferimento, criteri di giudizio, e se dovessi riassumere in una formula semplicistica il mio sentimento prevalente, direi che siamo immersi nel gioco di specchi fantasmagorico del postmodernismo, che è frutto di un Pensiero Debole, molto debole.
Non per questo però ho nostalgia per quegli anni. Non si torna indietro, mai.
Ma non posso far a meno di domandarmi, da musicista e da comune amante della musica, la domanda più banale e ingenua possibile, quella che probabilmente si pone l'ascoltatore non addetto ai lavori: perché quasi nessuna opera del secondo novecento ( quello delle "Avanguardie") mi commuove fino alle lacrime e mi prende allo stomaco come fanno invece Mahler, Strauss, Stravinskij, Bartók, Shostakovic ecc?
Lo so bene che i presupposti culturali, sociali, poetici, linguistici, estetici delle Avanguardie sono completamente diversi, e lo sono per una scelta ben cosciente.
Ma rimane il fatto che l'apprezzamento delle opere di Berio e di molti altri compositori suoi contemporanei rimane per me quasi sempre nei confini di un ascolto di tipo razionale e non viscerale, non istintivo: conosco i presupposti, le ragioni teoriche e pratiche -e financo politiche- per le quali la sua musica è fatta così e non in altro modo, in alcuni casi conosco la genesi tecnica delle singole opere, le problematiche linguistico/formali delle quali provano a essere una soluzione.
Ma l'oggetto sonoro in sé quasi sempre rimane in buona parte FUORI di me, non mi travolge, non penetra in profondità nella mia anima musicale, apparentemente non mi lascia godere, se non attraverso il veicolo razionale della conoscenza consapevole, di un godimento giudicante, discernente, vigile.
Lo so, lo so benissimo che si potrebbe rispondere: la temperie estetico/culturale del tardo Romanticismo di Mahler e di Strauss è radicata profondamente in noi, ne siamo figli e nipoti, usa un linguaggio che, per quanto allargato e lacerato in mille modi, è ancora quello che ci viene in eredità da secoli di storia della musica, è nei nostri cromosomi a tal punto che i suoi simboli non li percepiamo piu in quanto tali, cioè unità semantiche veicolo di significato, ma solo come gestalten autonome, che hanno perso per le nostre orecchie la natura di "veicolo" e ormai coincidono tout-court con ciò che significano: il processo di identificazione affettivo/emotiva è perciò istantaneo, senza mediazione, e SEMBRA "naturale". Per questo - lo dico semplificando in modo intollerabile- vanno dritte allo stomaco, e sembrano non aver più bisogno di passare per il vaglio decodificante del cervello: sono ormai riflessi condizionati, non mediati.
Al contrario, la musica "contemporanea" nasce da una rottura estetica deliberata, e generalmente richiede un ascolto "strutturale" consapevole, certo più aperto, ma anche più competente.
Credo che questo sia il prezzo che paghiamo, nella situazione storica attuale, perché la musica di oggi continui a evolvere (non necessariamente in senso "progressista": ma evolvere come succede a qualunque altra cosa umana, cioè cambiare, non stare mai ferma, come è giusto che sia).
Alla musica "contemporanea" sembra che siamo costretti - per ora- a dare la stessa risposta che il rag. Fantozzi Ugo dà alla moglie che gli chiede se la ama :
"Pina, io ti stimo moltissimo".

NON C'È NIENTE DA VEDERE



Se nella Pop Art (Brillo Boxes, Marilyn, Kennedy, Campbell Soup, CocaCola, banconote, graffiti ecc.) "l'oggetto banale, la copia di oggetti o di immagini di uso comune, creato intenzionalmente per diventare un'opera d'arte non è riconosciuto in quanto Opera d'Arte che dentro un contesto storico e sociale determinato, e solamente se è sottomesso a una interpretazione teorica e filosofica suscettibile di giustificare l'interesse che gli si porta (...); se senza giustificazione filosofica tale oggetto sarebbe irrimediabilmente condannato a essere gettato nella spazzatura" (cit. Marc Jimenez - "la querelle de l'art contemporain");
se nell'Arte Concettuale poi sparisce l'oggetto materiale stesso, e il senso dell'Opera migra dall'Oggetto al Soggetto fruitore, al quale è interamente devoluto il compito di decidere della natura artistica del concetto stesso, e di decrittarne a piacimento il "significato" - se ne ha uno;
ALLORA è lecito chiedersi quale senso abbia esporre questi oggetti nei musei e nelle gallerie d'arte, dato che, come gli stessi autori in fondo dicono, NON C'È NULLA DA VEDERE.
Nessuna perizia artigianale, nessuna "aura autoriale" perché spesso l'oggetto, quando ancora sussiste come nel caso delle copie di oggetti di uso comune, non è prodotto materialmente dall'artista ma da altri per lui - laboratori industriali, fabbriche di manifatture o altro-, nessuna volontà di esprimere valori tradizionali quali la "bellezza" estetica o altri valori intrinseci alla sua fattura materiale, che il pubblico possa apprezzare osservandolo.
A questo punto, mi domando se non sarebbe in fondo più coerente NON ESPORRE, non organizzare mostre nelle quali allineare oggetti o meta-oggetti che in quanto tali non hanno alcun valore. Sarebbe invece più coerente, più fedele al pensiero degli artisti limitarsi a fornire al pubblico un saggio in forma stampata o una conferenza con i quali comunicare i concetti-base di queste correnti artistiche, e suscitare su di essi delle discussioni pubbliche. 
Sappiamo tutti che dopo Duchamp in arte e dopo Cage in musica, si sono aperte le cataratte ed é venuto giù tutto. E' venuta l'epoca del "n'importe quoi".
Ma sarebbe superficiale limitarsi a una condanna sdegnata della scomparsa della "Bellezza", come
alcuni fanno. Perché quello che é accaduto da là in poi non é la Morte dell'Arte, ma la scomparsa di un certo modello di Arte che aveva retto per secoli. Se per Hegel il destino dell'arte é quello di trasformarsi in filosofia, che a suo parere é la forma di conoscenza più alta e più complessiva che sia data all'umanità, allora con la svolta del Concettuale siamo pienamente nella filosofia, e la "profezia " di Hegel sembra sul punto di realizzarsi.

Ma poi quando vedo la gente che fa lunghe code e paga biglietti per andare a vedere una mostra di "opere" di Andy Warhol, mi dico che forse sono tutti vittime di una colossale presa in giro. Ben che vada, di un enorme equivoco.
Non c'è proprio niente da vedere, lì.
Al massimo, si celebra inconsapevolmente il rito di massa della finanziarizzazione del mondo e della vita.

LA RAI E LE MUSICHE DEL XXI SECOLO



Pur con tuttle sue lacune, RAI Cultura manda in onda spesso cose interessanti sull'arte contemporanea: arti visive, architettura, danza, teatro, cinema : ma niente sulla musica. Mi sembra molto strano. Se ne saranno accorti i cervelloni di quel canale? Si saranno posti la domanda ? Per chi vede Rai cultura, la musica consiste di tre cose : l'opera lirica, la musica sinfonica classica, e per le musiche di oggi il rock, con le sue numerose ramificazioni e sottogeneri.
Ora io mi domando perché alla Rai, che dall'anno scorso con l'inserimento del canone nella bolletta dell'elettricità ha avuto un fortissimo incremento delle risorse a propria disposizione, non sia venuto ancora in mente a nessuno che sarebbe ora di produrre un nuovo programma-inchiesta sulla situazione delle musiche d'oggi: di tutte le musiche, inclusa la musica "colta"contemporanea. Naturalmente lo dovrebbe fare senza steccati estetici e senza pregiudizi intellettuali. E la cosa mi meraviglia ancor di più perché il "format" di successo di un tale programma-inchiesta la Rai lo possiede da decenni, e si chiama "C'è musica e musica". Lo aveva coordinato e presentato Luciano Berio, più di 40 anni fa ormai.
Cosa manca alla RAI per decidersi a colmare questa lacuna, dopo tanti anni da quel programma così importante? Le idee? La volontà "politica"? Un compositore o un musicologo intelligente che conosca il medium e che che come Berio sia capace di coordinare il tutto in modo semplice e senza intellettualismi?
Insomma, la RAI é o non é servizio pubblico? 
Io capisco che questo mio post é una vox clamans in deserto, e che finché non si rovescerà il paradigma del "mercato" come bussola di ogni decisione culturale saremo destinati a una corsa verso l'abisso.
Ma continuo a ritenere - forse ingenuamente, può darsi- che per fare un programma-inchiesta di quaiità non servono investimenti industriali, ma FANTASIA, creatività e capacità di usare il linguaggio giusto, pur con mezzi scarsi. il buon vecchio adagio: far di necessità virtù.
Quanto al pubblico: pensare al telespettatore medio come un minus habens privo di curiosità e refrattario agli stimoli culturali nuovi é proprio quell'atteggiamento che produce l'abbassamento progressivo del livello qualitativo della programmazione.
E' tutto da dimostrare - a mio modesto avviso da non addetto ai lavori - che un programma ben fatto, creativo, semplice, che proponga in modo vivace (come lo faceva Berio) i protagonisti delle musiche di oggi, collegandoli in un affresco ben congegnato, mettendone in luce assonanze e dissonanze, analogie e influenze con altre discipline artistiche eccetera, interessi solo "una fetta esigua tra noi che paghiamo il canone". Ma quand'anche così fosse, la Rai deve decidere cosa é: se é una tv commerciale oppure un servizio pubblico con la "mission" di offrire il ventaglio più ampio possibile di prodotti culturali, anche se non per il grandissimo pubblico. Poi ci vorrebbe anche una riflessione su cosa sia questo "pubblico", nell'epoca in cui abbiamo a disposizione centinaia di canali tematici, tutti con shares esigui.
Amici, é necessario che chi ha in mano qualche possibilità di invertire la rotta si faccia coraggio e inizi a martellare, nei luoghi dove si prendono le decisioni.
Oppure nessuno dei nostri musicisti e musicologi - che con la Rai collaborano e che certamente avrebbero almeno la possibilità di lanciare l'idea - ha voglia di impegnarsi in questa sfida? Perché non si fa ?
Anche perché, quando ad es. capita che vada in onda un concerto sinfonico (di Rai torino o di S. Cecilia) nel quale disgraziatamente c'é anche un pezzo contemporaneo, e questo non viene presentato, non si dice nulla nè dell'autore nè dell'opera, il risultato é imbarazzante, addiittura controproducente.



ARTE COPROFILA - POUR EN FINIR AVEC L'HUMANISME



ARTE COPROFILA- POUR EN FINIR AVEC L'HUMANISME

Cari amici, se vi interessano le cose dell'arte contemporanea, e se i barattoli di "Merda d'artista" del nostro Piero Manzoni degli anni '60 vi hanno sollevato qualche legittimo interrogativo o curiosità, allora questa cosa di Wim Delvoye vi manderà in estasi.
Si chiama CLOACA© ed è una raffinatissima macchina per fare....la cacca.
Cioè da una parte le si dà da mangiare a strafottere, senza limiti; lei da brava rumina, digerisce, decompone, ha nella "pancia" tutti i suoi begli enzimi e acidi e batteri come nel nostro apparato digerente; e dall'altra parte, alla fine del processo, Cloaca© produce degli stronzi che - a detta di chi l'ha vista in azione- sono perfettamente realistici, e autentici anche dal punto di vista olfattivo.
Ora io vi devo confessare che questa macchina mi affascina in massimo grado, e per più ragioni.
Innanzitutto per la fantastica perizia tecnologica di chi ha saputo progettare una macchina che riproduce perfettamente i complessi processi chimici digestivo/intestinali della fisiologia umana. È una bella sfida progettistica, vinta alla grande.
Poi, l'idea mi ipnotizza, mi cattura per l'ovvio contrasto radicale tra la complessità tecnologica e la sua totale inutilità, gratuità: è vero che le "macchine inutili" di Tinguely avevano già abbondantemente percorso questa tematica, ma qui c'è qualcosa in più, e più disturbante: se cercate on line altri video, ne troverete uno dove uno stuolo di veri chef prepara "da mangiare" per Cloaca© delle pietanze raffinate, un intero menù pantagruelico, infinito, poi lo scarica alla rinfusa con le mani e con i mestoli su un nastro trasportatore che convoglia tutto "in bocca" a una versione enorme, gigantesca di Cloaca©; la quale poi da brava, dopo un po' (il tempo che ci vuole ) fa comparire sul nastro trasportatore dall'altra parte uno stronzo bellissimo, lungo metri e metri, per la gioja degli astanti ( forse un po' meno per le loro narici).
Insomma una specie di banchetto di Trimalcione come nel Satyricon di Fellini, più, allusivamente, la pulsione di morte del famoso film di Ferreri "La Grande Bouffe".
Solo che qui la protagonista è una povera macchina inanimata, il che rovescia in farsa qualsiasi interpretazione psicologista sulla pulsione autodistruttiva e sul celeberrimo triangolo libidico sesso-cibo-morte, eccetera. Tutta la cosa diventa una goffa, ridicola caricatura. Ma anche terribilmente tragica e realistica. Io ne sono affascinato, ipnotizzato, sconvolto, rimango senza parole come davanti a una epifania numinosa.
E credo che sarebbe ancora più tragico e disturbante se la macchina fosse un automa dalle fattezze umane perfettamente imitate. Dovrò trovare il modo di suggerire questa idea all'artista, se non ci ha già pensato lui. 
In terzo luogo, tutta questa faccenda apre abissi insondabili quanto affascinanti sullo statuto dell'arte contemporanea, sul suo ruolo nella società (se ne ha uno) e sul Sistema dell'arte: artisti, gallerie, musei, mercato dell'arte, influenza dei media, ricezione del pubblico, e così via all'infinito.
C'è qualcosa di veramente geniale in CLOACA©, e al tempo stesso di terribilmente "Unheimlich".
E' l'anello che mancava per chiudere il cerchio. È il trionfo finale è definitivo della tautologia ontologica nichilista di certa arte contemporanea. Una circolarità perfetta, arte-denaro-merda- arte e così via ad libitum ad infinitum
Un mistero insondabile che mi porterò dietro finché campo.

P.S. Leggo che l'artista colombiano Fernando Pertuz "in una galleria d'arte defecò di fronte al pubblico, poi con grande solennità passò a ingerire le proprie feci". Sembra che apparentemente qui si tratti di una performance analoga ( ma rovesciata: prima ci sono le feci, poi queste diventano "cibo"), invece no. Qui non c'è sublimazione artistica, c'è solo banalità,volgarità, provocazione gratuita secondo me

domenica 20 agosto 2017

MUSICA ANTICA E SOCIETÀ CONTEMPORANEA


La musica del Settecento sembra avere oggi, nel XXI secolo, più o meno la stessa popolarità (a volte sconfinante nel fanatismo di massa) della musica pop.
Un vastissimo pubblico di tutte le età e livelli di scolarità e cultura accorre ai concerti, compra dischi e alimenta un mercato globale che ormai mi pare stia scavando il fondo del barile di tutto l'immenso patrimonio musicale che era rimasto per secoli sepolto nelle biblioteche.
Come era prevedibile e fisiologico, oggi dopo aver pubblicato decine o centinaia di versioni dei più alti capolavori del repertorio barocco
- uso questa definizione generica per comodità - si riscoprono autori e opere minori che poco o nulla aggiungono alla nostra conoscenza, e si è passati ora anche a lavorare di fantasia, re-inventando con una certa spregiudicatezza opere incomplete o dubbie, proponendo versioni arbitrarie o improbabili ibridazioni etnico/linguistiche funzionali al gusto postmoderno contemporaneo (mi riferisco qui alla recente "querelle" sulle interpretazioni del celebre Jordi Savall, a parere di qualcuno piuttosto spregiudicate; ma non è che il caso più noto). 

giovedì 26 gennaio 2017

LA FAVOLETTA IMMAGINARIA DEL PASSANTE E DELLA GRANDE MELA



LA FAVOLETTA IMMAGINARIA DEL PASSANTE E DELLA GRANDE MELA 
(alla maniera di Italo Calvino)

Quella cosa enorme è lì ormai da mesi, ma solo un certo giorno il Passante appena sceso dal treno "si accorge" della sua presenza, per così dire, e si sofferma a guardare, a cercare di capire. 
Molti pensieri confusi gli attraversano la mente, ma una domanda su tutti: PERCHÈ??
E insieme, un sentimento misto ma spiacevole, come di sconsolata allegria, come una risata amara. 
Non che lui trovi l'oggetto "brutto" in sé: si sa, i gusti sono soggettivi eccetera.
Ha visto di ben peggio, anzi di tremendo, insopportabile, nell' arredo urbano della sua città.
È che il Passante prova sempre una certa repressa indignazione di fronte alle manifestazioni dell'altrui invadenza e megalomania. Quando qualcuno gli sbatte in faccia una cosa come per dirgli "guarda, QUESTO l'ho fatto IO !" al nostro Passante viene da ridere dentro di sè, ma amaro, triste, pieno di compatimento per la piccolezza degli uomini che si credono - e vogliono essere creduti- grandi. 
Il Passante appena sceso dal treno non è un critico d'arte nè un urbanista, ma solo un comune cittadino, uno dei milioni che passano di qui indaffarati, ognuno con le sue pene e faccende, ma che anche volendo non possono non vedere "l'Opera d'Arte": che lì davanti alla Stazione Centrale, enorme e tronituante, quasi in mezzo alla vasta piazza, si impone con la sua massa pesante e ottusa. 
 E allora per capire di più, il Passante si informa sull'Autore. 

martedì 24 gennaio 2017

FENOMENOLOGIA DEL GENIO MUSICALE: MYUNG WHUN CHUNG



FENOMENOLOGIA DEL GENIO MUSICALE: MYUNG WHUN CHUNG
(Don Carlo alla Scala) 

 Il Maestro Chung è magro come un chiodo. Come uno che si sottoponga a una dura disciplina. Forse fa meditazione o yoga. Ha un corpo secco e scattante ma non sembra muscoloso: anzi a dire la verità le spalle sono un po' cadenti, e la testa forse è un po' troppo grossa rispetto al corpo.
Quando entra nel "golfo mistico" (ahahaha!)  e si avvia al podio passando attraverso le file dei violinisti, ha un'aria che sembra vagamente annoiata, ma non manca mai di dare delle piccole carezze o buffetti amichevoli, anche affettuosi, sulle spalle dei violinisti vicino ai quali passa: a qualcuno lancia, passando, una rapida battuta, chissà cosa gli dice. Arrivato al podio, vi sale dimesso, quasi con l'espressione di uno che si appresti a svolgere un compito noioso, forse persino spiacevole. Accoglie l'applauso del pubblico senza sorridere, come una faccenda che vada espletata nel modo più rapido, informale e indolore possibile: si volge verso il pubblico solo per qualche secondo non di più, non concede ai festeggiamenti che gli vengono tributati di eccedere la brevissima durata che evidentemente lui considera tollerabile.
È vestito di nero, certo, ma non indossa il frack d'ordinanza, e nemmeno quelle giacche esotiche di varia foggia che i suoi colleghi usano, talvolta con esiti estetici imbarazzanti o goffi, nel tentativo di sostituire l'abito da cerimonia tradizionale, ormai antistorico e anche scomodo. Non è per il maestro Chung il pavoneggiarsi sventolando le code del frack come appunto il volatile campione di narcisismo. Evidentemente per lui la direzione è un fatto spirituale, un rito celebrato insieme ai suoi orchestrali: amo pensare che se potesse lo farebbe più volentieri senza che il pubblico lo potesse vedere in azione. 
Veste di nero, certo, ma dimesso, casual: pantaloni senza nastrino laterale,  e semplice T-Shirt sopra la quale una camicia (o golfino leggero) aperto. Un abbigliamento che potrebbe indossare anche per una passeggiata primaverile all'aperto. 
Come detto, non lascia che pochi secondi agli applausi. Anzi qualche volta da' l'attacco SUGLI APPLAUSI, costringendo così il pubblico a smettere di colpo, sulle prime note della musica. Una urgenza interiore lo induce a venire subito al dunque, senza perdersi in convenevoli. 
E non appena la bacchetta si abbassa, siamo precipitati di colpo in un'altra dimensione spirituale, in un tempo metafisico.
E inizia un miracolo continuo.

lunedì 2 gennaio 2017

AFFETTUOSO MESSAGGIO DI PACE AGLI ODIATORI DELLA MUSICA CONTEMPORANEA "COLTA"




AFFETTUOSO MESSAGGIO DI PACE AGLI ODIATORI DELLA MUSICA CONTEMPORANEA "COLTA"
(o "accademica" o "d'arte" o "forte" o quello che volete voi, insomma ci siamo capiti)
E AI NOSTALGICI DELLA TONALITÀ

Io ho aperto questo blog solo da qualche anno, ma in questo pur relativamente breve lasso di tempo ho visto crescere a dismisura attacchi sempre più polemici e talvolta violenti contro la "musica contemporanea" (vedi sopra la definizione a piacere). 
Sarei tentato a questo punto di appellarmi alla PresidentA Boldrini o all' ONU per chiedere l'intervento dei caschi blu in difesa di una minoranza etnica seriamente minacciata nella sua esistenza. 
Non sto a riassumere le accuse contro questa piccola e tutto sommato trascurabile nicchia fra le infinite nicchie di cui si compone il grande mercato musicale: non c'é nemmeno uno tra i miei "contatti" qui che non si sia imbattuto certamente svariate volte in post sull'argomento, seguiti da alluvioni di commenti e di polemiche, quindi tralascio la disamina e riassumo in estrema sintesi.
Le accuse provengono non solo da stimabili colleghi musicisti che sanno ciò che dicono e lo argomentano compiutamente e in modo articolato e motivato, ma ormai anche da guardiamacchine abusivi, venditori di almanacchi, vice-rappresentanti di una sottomarca della BIC (chi coglie la citazione vince un CD di Feldman), marittimi di lungo corso (quindi lontani da casa per lunghi periodi dell'anno) testimoni di Geova, abbonati a L'Unitá: categoria, quest'ultima, che credevo estinta da tempo, ma tant'è.
La parola d'ordine é : dàlli all'untore della musica contemporanea, al rogo l'eretico senza Dio!